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« La Genesi Dallo Spirito » Juliusz Słowacki (https://literat.ug.edu.pl/genezis/genezis.htm ) Sulle rocce dell’Oceano mi hai posto, Signore, affinché ricordassi le antiche vicende secolari dello spirito mio, e mi sentii improvvisamente nel passato un Figlio di Dio, Immortale, creatore della visibilità, e uno di quelli che Ti rendono il tributo volontario dell’amore su ghirlande dorate di soli e di stelle. Poiché lo spirito mio prima dell’inizio della creazione era nella Parola, e la Parola era in Te - e il mio essere era nella Parola. E noi, spiriti della Parola, chiedemmo forme e Tu ci rendesti immediatamente visibili, permettendoci di derivare da noi stessi, per volontà nostra e per amore nostro, le prime forme e di apparire davanti a Te così manifestati. Separasti quindi gli spiriti che scelsero per forma la luce da quelli che preferirono manifestarsi nelle tenebre; e quelli sui soli e sulle stelle, questi sulle terre e sulle lune, iniziarono il lavoro delle forme, dal quale Tu, Signore, ricevi continuamente il frutto finale dell’amore, per il quale tutto è creato, attraverso il quale tutto prende vita. Qui, dove dietro le mie spalle ardono rocce dorate e argentate incastonate di mica, come immensi scudi apparsi in sogno agli occhi di Omero; qui, dove il sole staccato, vogando nello spazio, inonda di fiamme le mie spalle, e nel rumore del mare si ode la voce incessante del Caos che lavora sulla forma; qui, dove gli spiriti per la stessa via che io un tempo salgono sulla scala di Giacobbe della vita; sopra queste onde, sulle quali lo spirito mio tante volte si lanciava in orizzonti sconosciuti, cercando nuovi mondi: permettimi, o mio Dio, che come un bambino balbetti gli antichi lavori della vita e li legga nelle forme, che sono le iscrizioni del mio passato. Poiché lo spirito mio, come prima Trinità composta di Spirito, di Amore e di Volontà, planava chiamando spiriti fraterni di natura simile alla sua, e attraverso l’amore avendo svegliato in se stesso la volontà, trasformò un punto dello spazio invisibile in un’esplosione di forze magneticamente attrattive. E queste si trasformarono in elettriche e in potenze fulminee. E si scaldarono e dispiegarono in calore nello Spirito. E quando lo spirito mio, diventato pigro nel lavoro, trascurò di estrarre da se stesso la sua essenza solare e si allontanò dalla via della Creazione, Tu lo punisti, Signore, con la lotta delle forze interiori e con il loro disaccordo; non più luce, ma fuoco distruttore lo costringesti a brillare, e facendolo debitore dei mondi lunari e solari, lo trasformasti in un turbine di fuoco e lo sospendesti sugli abissi. Ma ecco nei cieli un secondo cerchio di spiriti luminosi, simile al cerchio di fuoco ma di natura più pura e redenta, un angelo dorato con capelli dispiegati, forte e impetuoso, afferrò una manciata di globi, la fece turbinare come un arcobaleno infuocato e la portò con sé. E allora tre Angeli, solare, lunare e del globo, incontratisi, si accordarono sulla prima legge di dipendenza, aiuto e peso; e da allora cominciai a chiamare giorno il periodo illuminato e notte il tempo privo di luce. Secoli passarono, o Signore, e lo spirito mio non uno di quei giorni trascorsi riposò, ma lavorando senza sosta, trasformava sempre un pensiero nuovo sulla forma in forma, accordatosi con la parola terrestre, stabiliva la legge propria e vi si sottometteva in seguito, affinché su tale fondamento posto potesse ergersi e tracciare nuove vie superiori allo spirito. Già nelle rocce, o Signore, giace lo spirito come statua di perfetta bellezza, addormentato ancora, ma già preparato all’umanità della forma, e cinto come di sei ghirlande dagli arcobaleni del pensiero Divino. Dall’abisso questo riportò la scienza matematica delle forme e dei numeri, che fino ad oggi giace più profondamente nel tesoro dello spirito e sembra innestata in esso senza alcuna sua coscienza né merito. Ma Tu sai, Signore, che la forma diamantina si formò da potenze vive, e le acque cominciarono a scorrere da spiriti mobili, leggermente uniti e che imparavano l’equilibrio, mentre sul globo tutto era vita e trasformazione – e ciò che oggi chiamiamo morte, cioè il passaggio dello spirito da forma a forma, non esisteva ancora. Ecco che evoco davanti a Te, o mio Dio, questi duri cristalli, primi un tempo corpi dello spirito nostro, oggi abbandonati da ogni movimento ma ancora vivi, incoronati di nubi e fulmini: poiché questi sono gli Egiziani della prima natura, che per migliaia di anni si costruirono corpi, disdegnando il movimento, compiacendosi unicamente nella durata e nel riposo. Di quante folgori colpendo le rocce basaltiche del primo mondo, di quanti fuochi sotterranei, di quante scosse non hai usato, Signore, per spezzare questi cristalli e ridurli in polvere terrestre, che è oggi i detriti dei primi colossi eretti dall’attrazione dello spirito. Hai ordinato allo spirito di distruggersi da sé? O terrorizzato faceva crollare su di sé le volte elevate da lui stesso? Finché dalle rocce fracassate estrasse il fuoco, ottenendo la prima scintilla, che forse simile a una grande luna, si distaccò dall’ammasso di pietre, si trasformò in colonna di fuoco e si pose sulla terra come Angelo Distruttore, e oggi ancora riposa nelle profondità terrestri, sotto la crosta di sette giorni dei nostri lavori e delle nostre ceneri. È allora, o Signore, che i primi spiriti, andando già verso di Te nel tormento infuocato, Ti fecero la prima offerta. Si offrirono alla morte. Ma ciò che era la morte per loro non era ai Tuoi occhi, o Dio, che l'assopimento dello Spirito in una forma e il suo risveglio in un'altra più perfetta, senza alcuna conoscenza del passato e senza alcun ricordo presonno. In verità, la prima offerta di quel piccolo lumacchino che Ti pregava, o mio Dio, di permettergli di rallegrarsi di una vita più piena in un pezzo di materia pietrosa e di distruggerlo poi con la morte, era già come una vaga immagine dell'offerta del nostro Signore Gesù Cristo e non fu perduta; poiché Tu, Signore, ricompensasti questa morte, apparsa nella natura per la prima volta, con un dono che oggi chiamiamo organismo. Da questa morte, che fu la primissima offerta, nacque la primissima resurrezione. Inoltre, per grazia Tua, o Signore, fu aggiunto allo spirito il potere miracoloso di riprodurre la forma simile a sé: attraverso questa potenza, gli spiriti unificati in numeri diversi, dandosi mutuo assalto e cambiando le loro potenze in potenze di fuoco, divennero creatori di forme loro simili. Gli spiriti cominciarono quindi a morire e a risorgere, invece di comporsi, versarsi, unirsi e dissolversi in gas. Io so bene, Signore, che lo spirito mio, composto nella prima scintilla, viveva già interamente nella pietra. Tuttavia è solo da questa morte e da questa prima offerta mortale che lo spirito comincia a vivere visibilmente per i miei miseri occhi e mi diventa fratello. È per la sola offerta dello spirito alla morte, fatta con tutta la potenza dell'amore e della volontà, che fu generata una prole innumerevole di forme, meraviglie di creature che la mia bocca umana non saprebbe oggi enumerare davanti a Te, Signore; ma Tu le conosci tutte, poiché nessuna forma successiva nacque dalla precedente senza conoscenza Tua. Tu prendesti previamente nelle Tue mani lo spirito sollecitatore, ascoltasti le sue richieste infantili e gli donasti una forma nuova secondo la sua volontà. Sagge e infantili insieme sono queste forme. Poiché ogni spirito, tormentato da lunga sofferenza nella sua dimora e dal disagio temporale, sapeva e Ti pregava con lacrime, Dio, per la correzione delle sue pareti misere; e se queste erano di perla o di diamante, sempre offriva qualcosa a Te, Signore, delle sue passate comodità e dei suoi tesori, affinché potesse prendere di più per lo spirito secondo la sua necessità. Vecchio Oceano, dimmi come nel tuo grembo si svolsero i primi misteri dell'organismo? i primi sbocciamenti dei fiori nervosi, nei quali fioriva lo Spirito? Ma tu due volte cancellasti dal volto della terra queste forme mostruose e inesperte dello spirito primo; e oggi probabilmente non rivelerai queste meraviglie strane, apparse nel tuo seno e sulle quali riposò lo Sguardo Divino. Gigantesche spugne e piante-rettili emergevano dalle onde argentee; zoofiti con centinaia di piedi stavano sulla terra, bocca rivolta verso il fondo terrestre. Lumaca e ostrica, avendo ottenuto dalla roccia paterna la difesa del loro corpo con scudi pietrosi, aderirono alle falesie, stupite della vita. La prudenza si manifestò per prima nelle corna della lumaca; il bisogno di protezione e lo spavento causato dal movimento della vita incollarono l'ostrica alle rocce. E nacquero nel grembo delle acque mostri cauti, pigri e freddi, opponendosi con disperazione al movimento delle onde, attendendo la morte sul luogo dove nacquero, non sapendo affatto nulla del resto della natura. Dimmi, Signore, quali erano in queste creature le prime preghiere che Ti rivolsero? Quali strani e mostruosi desideri? Poiché non so quale di questi spaventapasseri difformi, avendo sentito nel sistema nervoso un fremito e un tenero emozione, richiese un cuore triplo che Tu gli accordasti, Signore. Avendo posto uno al centro e gli altri due ai lati come sentinelle, lo rendesti tre volte sensibile; e da allora lo spirito che tale forma attraversava ricevette da Te, o Signore, in tre cuori la gioia della nascita e in tre cuori lo stimolo e il dolore della morte. Dimmi, quale di questi martiri Ti sacrificò due dei suoi cuori e, conservandone uno solo nel seno, diresse tutta la sua creatività e desiderio verso la curiosità? Poiché è lui che creò gli occhi; questi occhi che nei molluschi fossili stupiscono già per perfezione e che nei primi giorni della Creazione dovevano splendere sul fondo delle acque come carbuncoli magici, apparsi per la prima volta nelle profondità del mare, pietre vive, mobili, ruotanti, guardanti il mondo. Questi occhi, sempre aperti da allora per diventare lanterne della ragione, sono ora, o mio Dio, talvolta volontariamente chiusi da uomini dubbiosi, per la prima volta nello scettico chiamati traditori della ragione, impostori dell'esperienza. Ecco che nel polipo, o mio Dio, ecco che nella piovra, vedo apparire il cervello e l'udito; ecco che nella natura sottomarina vedo tutta la prima bozza dell'uomo; vedo tutti i miei membri già pronti, già mobili, destinati a unirsi per crescita nell'avvenire, ispirando avversione e orrore all'idea di un corpo troncato. Infine lo spirito, estenuato dalla lotta con le immense onde dell'Oceano, offrì tre cuori, strappò la vista dalle pupille in lacrime votate al martirio, estese la bocca e l'incastonò nei piedi; questa bocca che prima sospirava verso i cieli, fu relegata alla pianta dei piedi e moltiplicata per centinaia affinché pompasse i succhi terrestri vivificanti; e stette come fungo zoofita sulla terra, spirito diventato pigro, distolto dalla via del progresso, avendo sacrificato il suo sistema nervoso per la quiete, per una forma più duratura e meno dolorosa. Allora Tu, Dio, distruggesti tutta questa natura e da un animale simile a un albero facesti un albero. E ecco di nuovo ripetuta, o Signore, la caduta dello Spirito. Poiché la pigrizia che si impadronì di lui sulla via del progresso, il desiderio di prolungare il soggiorno nella materia, la cura della durata e della comodità della forma, furono e sono finora l'unico peccato dei miei fratelli e degli spiriti Tuoi figli. Sotto questa unica legge lavorano soli, stelle e lune; tuttavia ogni spirito che progredisce, sebbene avesse macchia o imperfezione, per aver volto il volto verso le fini supreme, sebbene lontano ancora dalla perfezione, è iscritto nei Libri della Vita. Tu sei buono, o mio Dio, di aver conservato per me sotto lontani strati di diluvi, sotto lo strato di foreste carbonizzate, questa prima prova dello spirito conquistante la terra, questa prima sua incastonatura in anello nervoso, questa triplice conquista del cuore, di questo cuore endolorito ben dopo nell'uomo e per la prima volta sofferente non su di sé ma su altrui nel Cristo Tuo Figlio. Benedetti siano coloro che, sebbene senza il Tuo Spirito, Dio, estrassero questa stupefacente natura delle prime creazioni, la illuminarono con la lanterna della ragione e parlarono di cadaveri, non sapendo che raccontavano la propria vita. La lampada che lasciarono dopo di sé in questi cupi sotterranei mi illuminò quando vi entrai; vi trovai ossa composte, tutto già quasi nell'ordine della vita, eccetto il Tuo Spirito, o Signore, del quale Tu solo racconti, poiché oggi ancora senti i dolori passati nel fondo dei tempi trascorsi. Tu solo sai quanto queste ossa soffrirono! Quindi lo spirito Ti offrì l'organismo, o mio Dio, e con il resto della forza immortale conquistò la terra e conservò la scintilla della vita nelle forme vegetali. La sua immensità si manifestò nelle eriche, la sua collera e opposizione alla natura apparvero in duri cardi che ricoprirono la terra di foreste gigantesche. Tra le Tue stelle correva questo globo frusciante, scarmigliato e cupo; nebbie e nubi umide pendevano come veli di crespo funebre sui fronti di questi primi trasgressori della natura. Il mio sguardo non osa insinuarsi in queste foreste. Poiché là il ramo teso con scherno contro il vento colpiva l'aria con rombo di tuoni, e quando fendendosi scoppiava il seme, rimbombava un rumore come di cento fulmini. Là il vapore jaillissait dal suolo con tale forza che rocce portate e montagne basaltiche proiettate in aria si rompevano ricadendo in polvere e macerie sabbiose. Nelle nuvole, nelle nebbie e nelle tenebre vedo questa immensa opera dello spirito, questo regno del Pan silvestre, dove lo spirito lavorava più per il corpo che per la sua natura angelica. Ciò che dopo la morte da esso cadere doveva, strati bruciati in carbone e foglie marcite, questi furono il più importante prodotto del suo lavoro, quando lo spirito stesso, già elevato sopra la forma, attendeva la misericordia Divina, l'incendio e il diluvio. Or, sulle forme morte della prima creazione, sui corpi pietrificati dei mostri marini volò una colonna infuocata, secondo distruttore, Encelado lottante con la vita... La sua fronte incoronata di nubi riversò il diluvio, i piedi infuocati seccarono il letto del mare e per secoli interi questa terra bruciò, splendendo al Signore nelle altezze con rosso incendio... essa, che dopo secoli dallo spirito d'amore rielaborata e resa radiosa, splenderà del fuoco delle dodici pietre preziose, in irradiazioni quali la vide san Giovanni, ardente sull'abisso dei mondi. O spirito mio, è quindi vero che nel senza forma del tuo primo germe erano già il pensiero e il sentimento! Con il pensiero preparavi forme nuove; infiammato del sentimento e del fuoco dell'amore, le chiedevi al Creatore e Padre Tuo. Tu concentrasti queste forze in punti unici del tuo corpo, nel cervello e nel cuore; e ciò che conquistasti con esse nei primi giorni della creazione, il Signore non te lo tolse più. Ma con oppressione e dolore costrinse la tua natura a creare forme migliori e evocò da te una forza creativa maggiore. Spaventato e irritato dalla resistenza del corpo, cominciasti a tessere bande argentate nelle profondità del mare e intraprendesti il terzo terribile regno dei serpenti. Sembra che i ceppi di quegli alberi bruciati risorsero da soli sul fondo del mare e, avendo trasformato il loro midollo arboreo in sistema nervoso, stesero sulla terra il pensiero e il cuore, mandando prima il pensiero come guida circospetta, munita delle lanterne dei suoi occhi, davanti al cuore, con cautela che testimoniava dello spirito terrorizzato... Signore! Ecco vedo la testa di un enorme rettile, la prima testa emersa dal seno tranquillo del mare, che si sente padrona di tutta la natura, regina di ogni perfezione. La vedo passare con gravità in rivista tutta la volta celeste, incontrare con gli occhi il cerchio solare e, presa da spavento, nascondersi sul fondo delle tenebre... E non è che dopo anni di vita secolare dei serpenti, che osa, questa testa, uscire per una seconda lotta con il sole... Spalanca la bocca, sibilò, e in quel sibilo riconobbe il dono della voce, che doveva anch’esso essere conquistato dal lavoro dello spirito. Torna dunque tremante nel grembo delle acque, chiedendosi se nei tesori passati lavorati vi fosse qualcosa di degno, o Signore, da offrirTi per la voce, per quel canto del sentimento e della ragione che oggi, dopo secoli, si effonde in Inni davanti a Te ed è il legame spirituale e la parola d’ordine con cui si riconoscono gli spiriti che vanno verso di Te. Da allora odo, Signore, il mondo riempito dal gemito della natura nascente; odo i lamentini sulle scogliere scoscese delle rocce costiere, che chiamano nell’aria nebbiosa la Tua misericordia. Poiché grande soffre in essi lo spirito, sempre più colmo di sentimento. Ecco già vicino al cuore appare il seno nutrice, sigillo dell’amore materno; ecco il sangue dei rettili arrossisce e si trasforma in latte, (questo sangue destinato a sgorgare, ancora più bianco e mutato in liquido diamantino, dalle ferite del Cristo crocifisso). Ecco infine nasce quell’ordine che causa al debole sguardo un costante spavento e una lamentela eterna: lo spirito, avendo meritato una forma più perfetta, sentì l’inferiorità della forma abbandonata, la disprezzò e spesso si sdraiò come un Cainita, per mordere il cervello e asciugare la bocca insanguinata con i capelli del fratello minore. Questo fu il primo delitto di Caino della natura, dannoso allo spirito superiore, poiché lo legava a uno spirito di natura inferiore; ma ai Tuoi occhi, o Signore, non ne risultava alcun danno nella catena della creazione, poiché l’accelerazione della morte dei corpi accelerava l’impeto spirituale della vita, e la morte, come legge della forma, rimase, per così dire, regina delle maschere, delle spoglie e delle vesti spirituali, e finora è un’ombra senza reale autorità sulla creatura. Tu sai, o mio Dio, che non ho intrapreso di descrivere le creature della Natura; spetterà ai secoli risolvere per quali vie procedeva lo spirito creativo, quali offerte Ti componeva, cosa prendeva, cosa perdeva, e cosa ancora recuperava. Questa catena è per ora un mistero; e lo spirito umano si spaventerebbe se Tu, Signore, gli mostrassi d’un colpo tutte queste sue vicende. Dovresti tenerlo per mano come un bambino, aprendo improvvisamente sotto i suoi piedi un tale abisso di conoscenza e abbagliando i suoi occhi con i fulmini della Tua verità. Io, errante e pensoso di Te, appena in pochi sentimenti di verità mi rallegrai, osservando le creature attorno a me esistenti: spesso un filo d’erba o un uccellino che cinguettava sulla siepe... Ma con quale gioia, o Signore, vedevo ogni cosa svilupparsi come da un’unica idea di creatività dello spirito, Tu lo sai! Che hai trattenuto lo spirito sulle mie labbra e permesso che viva ancora pochi giorni, occupato in questa continua conversazione con i misteri della natura. Non porrò, o Signore, davanti agli occhi umani quei secondi regni sotterranei né le catacombe dove giacciono i cadaveri della seconda forma, spesso lontani da noi solo la lunghezza di una vanga, ma separati dal mondo vivente d’oggi da secoli innumerevoli. Lo spirito che vi viveva, come un grande poeta ebbro di nettare degli dèi, si disegnò a Te, Signore, in figure mostruose e gigantesche. In ogni forma è racchiuso un ricordo della forma passata e una rivelazione della successiva, e in tutte le forme insieme vi è una tendenza rivelatrice dell’umanità, un sogno vago dell’incarnazione umana. Poiché l’uomo fu per lungo tempo il fine ultimo dello spirito creatore sulla terra. Tuttavia tutto è in disordine e sforzo... Sembra che lo spirito crei nella disperazione, non ancora convinto della propria potenza e creatività. Proprio nei passaggi da regno a regno si mostra questa mostruosità... Così che Tu, Dio, distruggesti quasi tutte queste forme intermedie, volendo come aggiungere con un sovrappiù di mistero gravità alla natura, e, nascondendo il passato, dirigere più il nostro spirito verso l’avvenire. Mi si sognano, o Signore, le tristi notti lunari della prima natura, i disordini del regno dei serpenti; vedo, o Signore, su un frammento di roccia quel primo lucertolone in cui lo spirito meditava ora la testa d’uccello, ora le ali d’Icaro. Poiché allo spirito che va sulla terra serve prima sorvolarla come uccello, acquisire una conoscenza sintetica della natura, sapere come scorrono i fiumi, qual è l’estensione delle foreste, dove vanno le catene delle montagne. E per ispirazione lo sapeva il primo veggente d’Israele, il primo cantore dell’Epopea della creazione, che agli uccelli fu dato il primato della stirpe tra gli animali... che gli spiriti della terra prima si sollevarono su ali, osservarono la loro futura posizione, poi offrirono il volo per una forma meglio fissata sulla terra, capace di un dominio più completo sul globo. Sorrido oggi, o Signore, vedendo uno scheletro dissotterrato che non ha nome nella lingua odierna, poiché è cancellato per sempre dal numero delle forme viventi. Sorrido vedendo il primo lucertolone con becco d’uccello, fornito di un’ala al piede, che prende il volo per un viaggio colombino di esplorazione attraverso il mondo, per ispezionare il posto per quei pesanti mostri che lo seguivano, pronti a brucare praterie intere spogliandole d’erba e foreste intere spogliandole di foglie e ramoscelli. E chi sa se la facoltà di produrre luce, oggi perduta dallo spirito, non faceva di quel quartiermastro di creature una terribile lanterna ardente sopra la terra – un drago di fuoco, di cui fino ai nostri giorni sussiste nello spirito umano un vago e oscuro ricordo pieno di lontani terrori? Dietro questo drago si spingevano sulla terra quelle terribili navi d’ossa, costruite dallo spirito, appassionate per il ventre, con occhi scintillanti alla vista del cibo, pronte a divorare la terra – un immenso branco che Tu, Signore, tre volte spazzasti via con i flutti, e che ci conservi oggi sotto tre lenzuola di ceneri, come in tre tombe, per edificarci con la paura e il ricordo di quei mostri. Quale fu, o Signore, quello Spirito simile a Noè che la quinta sera vietò a lucertole ed elefanti enormi l’accesso all’Arca già pronta, riunendo invece le forme ancestrali che furono operaie della forma umana, creature che vivono ora in armonia e in accordo reciproco? Questo mistero mi è velato, o mio Dio; vedo tuttavia in ciò la Tua propria volontà e l’apposizione della Tua mano sul mondo, che non ritirasti se non nel giorno dell’alleanza definitiva con l’uomo, liberando quel giorno la natura oppressa, accordandole le sue proprie leggi e conformando a esse la facoltà creatrice e la libertà dello spirito lasciata all’uomo. È dunque con l’inizio del sesto giorno che germoglia nello spirito l’idea dell’uomo, e il più piccolo filo d’erba l’ha già logicamente inscritta nella sua forma. Lo spirito, questo lavoratore del Signore, iniziò a creare, procedendo lentamente, poiché nel lavoro di tanti secoli con la materia si innamorò più volte della forma, si irritò e si contaminò di desiderio, ribellandosi contro le proprie leggi che governavano il passato. Più volte si appesantì di pigrizia e si addormentò sulla via della creazione; più volte indietreggiò, o Signore, e vendette il suo diritto di primogenitura per cibo, per una ciotola di lenticchie; un’altra volta, più audace, benché nato dopo, indossò un vello d’agnello, ottenne la benedizione del padre e superò poi con la sua progenie la progenie del fratello. Così si deve intendere quell’ingiustizia mosaica che Mosè, per ispirazione, sapeva essere giustizia nel mondo dello spirito... poiché nella storia degli uomini si riflette come in uno specchio tutta la storia dello spirito nella natura. Bisognerebbe risuscitare i cadaveri di quei cinque giorni morti e conversare con gli spiriti delle forme perdute, se si volesse descrivere con certezza questa catena di forme, di cui i sapienti già si informarono corporalmente; poiché Tu sai, o mio Dio, che certe forme trasportabili da un regno a un altro, essendo mostruose, non furono ammesse nell’Arca della Vita. Dunque, solo per queste maglie perdute nella catena della creazione, vani saranno gli sforzi degli osservatori delle forme. Solo colui che intraprenderà di osservare la natura deducendola dallo spirito, apprenderà con certezza i suoi misteri nelle profondità del proprio spirito. Permettimi ora, o mio Dio, di risentire per la seconda volta il mio lavoro preumano... il lavoro del sesto giorno, compiuto dal mio spirito già saggio della scienza acquisita in cinque giorni, creando tutto di nuovo, in modo che nulla fosse perduto dei doni e delle proprietà già lavorate. Ogni albero è una grande soluzione di un problema matematico, un mistero del numero che nelle piante meno perfette procede per quantità pari, in quelle progressive per quantità dispari, e si risolve in unità nell’albero intero. Questo sentimento interiore di soluzione della molteplicità per l’unità è il primo compito dello spirito vegetale, la sua gioia profonda e il suo pieno contentamento. Questo primo colore che vediamo oggi sugli alberi è logico, poiché è la risultante della luce gialla, di cui si nutrono le piante, mescolata all’aria azzurra e all’acqua. Questi due colori atmosferici, condensati e compattati nel tessuto vegetale, crearono per lo spirito degli alberi quella prima veste, quei mantelli e capelli di smeraldo, già figurati nei libri mosaici dalla foglia di fico con cui l’uomo si fece il primo vestito. Non mi è dunque indifferente, o Signore, ogni colore e ogni forma della più piccola fogliolina, poiché mi rivela la natura dello Spirito e mi racconta il mio proprio lavoro un tempo compiuto nella pianta. So cosa significa ogni dentellatura di foglia, poiché non v’è forma con cui il mio Spirito non si sia giustificato del suo lavoro. In effetti, se traccio la via a uno spirito malvagio ma pieno di veemenza, che lotta disperatamente con il vento marino, domina la resistenza degli elementi, si eleva in alto, poi, vinto a sua volta dall’opposizione, si ritrae e si raccoglie per scaturire di nuovo con la forza accumulata e respingere la supremazia degli elementi; se da entrambi i lati di una linea che va dritta al fine riproduco due volte, con un disegno a zigzag dagli angoli acuti, l’itinerario di questo spirito in lotta, otterrò la foglia spinosa del cardo con il suo aspetto gracile, il tracciato della via di uno spirito malvagio ma forte, che in quella pianta, sotto angoli pungenti, si applicava alla conquista della forma. Se immagino questo spirito, non più malvagio, ma forte, e opponendosi alla natura con maggiore potenza, avrò le incavature arrotondate dei due lati della foglia di quercia, in cui lo spirito, combattuto dalla forza degli elementi, si piega in rotondità e rialza le sue potenze come un’onda dell’Oceano, con gravità e vigore. Al contrario, se uno spirito di mediocre forza, lottando con poca resistenza contro il mondo, mi disegna il suo piccolo sentierino attorno alla linea mediana, vedrò apparire una fogliolina di roseto dalle minute dentellature, e penserò che ecco uno spirito in cui nacque per la prima volta al mondo, non il veleno del serpente né la forza della quercia, ma la sottile proprietà della bellezza, e forse già il suo sentimento. E, in verità, la via dello spirito umano è oggi ciò che fu, secoli fa, il sentiero tracciato da lui per andare verso le fini supreme attraverso la foglia della pianta. O quanto meravigliosamente, o mio Dio, in questi primi sforzi gli spiriti vegetali crearono forme che dovevano poi ripetersi nell’organizzazione del mondo, alcune delle quali divennero oggi la gloria dell’invenzione umana. Ecco la margherita, che sembra un solo fiore, ma in realtà è un popolo di fiorellini insediati in un unico calice e governati da un solo organo fecondante; al centro sono raggruppati i fiori cittadini – cittadini, poiché lavorano e generano; i bordi sono custoditi da foglioline bianche, prive di sesso, come un esercito di iloti. O Signore, guardando questa prima meraviglia dello spirito creatore, già vedo che questo stesso spirito, nel suo lavoro progressivo, stabilirà lo sciame delle api, il regno apistico, la disciplina dell’alveare e il suo governo regale; vedo che ripeterà lo stesso nelle schiere di uccelli; in una forma simile si manifesterà infine tra gli uomini, ignari che la prima idea di associazione e di Stato germogliò nel lavoro vegetale e, passando per un concatenamento di forme, dovette svilupparsi nella natura umana. E anche tu, repubblica di Atene, perdonami se vedo la tua origine in quel piccolo fiore di trifoglio, che si compone di cittadini uguali ma distinti, riuniti non in un unico calice ma su un’unica tige, tra i quali però Temistocle, pur non distinguendosi dagli altri, siede alla cima della piramide e occupa la posizione più alta. Finora il pensiero solo creava nello spirito vegetale, si dettagliava in tre foglie lungo lo stelo e si spiegava per le cinque nel fiore; è esso che, disponendo i fiori attorno a una sola madre, creò la famiglia e il presentimento della nazionalità. Il pensiero sembra svilupparsi da solo matematicamente nelle piante, mentre il sentimento, quella linfa che è un cuore che giunge ovunque, stupito e docile, riceveva dalle virtù elaborate dal pensiero la prima lezione per il lavoro futuro. Il fiore e il frutto sono però già l’esito del lavoro di due forze dello spirito, operando a un’opera comune: la dolcezza nel prodotto definitivo della pianta o il veleno mordace nella bacca del cespuglio spinoso cadono già sotto il giudizio morale. Già la mela poteva essere indicata all’uomo come simbolo contenente la virtù e il peccato del suo proprio spirito; già, mangiandola, ci si poteva unire sia allo spirito della colpa sia a quello del merito. Poiché nella produzione del fiore e del frutto lo spirito possedeva già la scienza del bene e del male, il sentimento della bellezza e quello della deformità, già mostrava merito o si trovava in colpa verso il fine supremo dello spirito. O primo libro della Creazione! Tutto in te è un abisso insondabile di scienza e verità; ma, sollevando lentamente il velo, non c’è nulla che tu non faccia vedere e non spieghi ai figli che raggiungono la figliolanza divina. Dove finisce il tuo lavoro, o spirito vegetale? È nel tuo pensoso raccoglimento sull’idea di un organismo più perfetto, è nella creazione di quelle piante sorprendenti che, trasformate in sistema nervoso, potrebbero subito rivelarsi tra gli esseri organici. O mio Dio! Non è quell’insetto visto in qualche libro, del tutto simile a una foglia, che mi ha svelato questo mistero dello spirito; poiché potrebbe essere un semplice gioco della natura, un puro caso delle cose in via di creazione; ma ecco, Signore, ho visto sotto le siepi campestri quel pisello, che esce da un seme marcio e, come un bruco verde, avanza con la cautela di un verme sulle rame tutelari. Tutto ciò che la natura dello spirito poteva già sacrificare al Signore dalla sua organizzazione vegetale, sembra averlo offerto per una vita più perfetta. I numeri dispari testimoniano l’ultima perfezione del pensiero: lo spirito non può più apportarvi ritocchi o mutamenti. Ma guarda, Signore, come questa pianta fragile, debole e pallida, dimentica della propria solidità, getta nell’aria braccia disperate; e il suo fiore – già vuole volar via dallo stelo – già alato come Psiche, Ti implora, Signore, per il volo della farfalla. Tu esaudirai, o Dio, la preghiera di questo spirito, e gli permetterai di creare la forma che Ti supplica, ed esso lascerà la sua forma, così fragile ma eterna, per gli spiriti fratelli che lo seguono. O quanta saggezza ancora, quanta maestria di artigiano vedo, Signore, nell’adempimento dei primi voti dello spirito vegetale! Là, dove il sale della rugiada mordace divora persino i mattoni dei monumenti umani, gli spiriti delle coste marine si sono rivestiti di velluti di loro invenzione: e, simili a Ninfe, sostengono nell’aria sopra le loro teste, come su capelli irti, perle argentee cadenti dalla treccia delle Oceanidi; e il sole assorbe questi diamanti aerei, queste lacrime corrosive del mare si seccano prima di cadere sul cuore vegetale. Altrove, contro i raggi ardenti del sole, le driadi dei limoneti si sono fatte specchi e, crivellate di frecce d’oro, si difendono dal sole con il lucido smalto delle loro foglie... Mostratemi la natura, dove regna la follia degli elementi, dove i venti lottano con le onde, dove alle piante aggrappate alle rocce è arduo il lavoro della vita; e senza chiedere a nessuna Driade, dal mio spirito narrerò quella preghiera con cui questi spiriti imploravano Dio per una forma temporale. Poiché da secoli il mio spirito pregava e lavorava come loro, ed ora è triste quando, in mezzo alla natura selvaggia, vede questo tremendo lavoro nelle piante pallide. Permettimi qui, o mio Dio, di rivelare uno dei piccoli misteri dello spirito, forse esponendolo alla beffa prematura del giudizio: il senso dell’olfatto mi è testimonio del mio soggiorno nelle forme vegetali, dove lo spirito del mio corpo attuale elaborava i vasi sanguigni insieme al sentimento della bellezza o della deformità, di pari passo con un oscuro presentimento del veleno. Sentendo il profumo della rosa, dimentico per un istante, come in un’ebbrezza, i desideri e le tristezze della mia natura umana, e ritorno come a quei tempi in cui lo scopo dello spirito mio era creare bellezza, e il respiro di un profumo era per lui l’unico sollievo nel lavoro e la sua voluttà unica. È così, o Signore, che torno per un istante alla mia infanzia; mi giunge dagli abissi della Genesi un soffio di ristoro e giovinezza. E invano, o Signore, la scienza cercava di spiegarmi questo fenomeno con l’azione del profumo sull’olfatto; io chiedevo dell’azione di questo senso sulla mia anima, che nel sentimento del profumo si rallegra o si rattrista. Tale fu, o Dio Immortale, la via seguita nei suoi lavori dal più povero degli angeli, Tuo umile figlio, nel regno della pianta, finché uscì infine nella sua forma definitiva per entrare in un mondo superiore e incontrarvi altri ruscelli di fatiche terrestri, tutti affrettandosi verso la suprema forma umana. Là, o Signore, la lumaca, primo abitante del mare, cauta e sicura di una lunga vita sotto il suo scudo di pietra, Ti fece infine il sacrificio della sua casa di perle, la trasformò laboriosamente, con lo spirito del desiderio, in una corazza di tartaruga, poi Ti cedette ancora qualcosa della sua sicurezza, e, essendosi lavorato astutamente ali sotto lo scudo corneo, volò come scarabeo, simbolo della Divinità presso gli Egizi, attraverso le regioni dello spirito delle farfalle. Durante tutto questo doloroso cammino di metamorfosi e lavoro, non Ti sacrificò, o Signore, la sua fecondità, ma conservò per tradizione una certa somiglianza di forme e la portò dagli abissi del mare fino alle regioni celesti dei liberi voli. Ed ecco il regno dei serpenti, che nei primi giorni della Creazione, nel pterodattilo, aveva già meritato la meraviglia del volo, Ti offre in sacrificio le sue ali di lucertola, si umilia davanti a Te, arrossisce il suo sangue e, con tutta la classe degli anellidi, si insinua nella natura più perfetta degli insetti. Poiché negli insetti, o Signore, lo spirito comincia a elaborare le prime virtù morali – la laboriosità nella formica, l’ordine sociale nell’ape. Poi riunisce e collega queste virtù a coppie, così che il coraggio e la nobiltà nel cavallo, la fedeltà e l’umiltà nel cane, già lavorate, sono per sempre inseparabili e dimorano come virtù sorelle anche negli spiriti umani. Tu sai, o Signore, che tutta la tavola della scuola filosofica dei materialisti, tutte le facoltà, istinti e virtù, lavorate dalla fatica genesiaca, furono date all’uomo quasi pronte, ma in forma di materiale grezzo, affinché le elaborasse con la conoscenza, le accendesse col fuoco dell’amore divino e le conducesse a una nuova creatività. Non narrerò di queste virtù né di questi lavori dello spirito, poiché ogni spirito le leggerà nella creatura a lui vicina: narrerò solo alcuni eventi che nel progresso dello spirito mi appaiono come rivelazioni singolari. Talvolta lo spirito, avendo richiesto una nuova forma e organizzazione, si è riservato una piccola distinzione da individuo a individuo, spesso marcata solo dal colore. Alcuni fiori e animali hanno conservato, per così dire, tramite una concessione strappata a Dio, una particolarità di pelo o di colore. Dio non ha respinto queste esigenze, ma ha punito l’incompletezza del sacrificio con la debolezza dello spirito, così privato di concentrazione in una forma unica e determinata; poiché tali fiori sono per lo più senza frutto, e gli uccelli e gli animali di questo genere hanno subito il giogo della domesticità, richiedendo la protezione degli spiriti superiori. Il gatto, avendo fatto il suo sacrificio al Signore senza queste piccole restrizioni, è ora tigre, signore dei deserti... E noi, o Signore, noi il cui futuro è di sacrificare tutto ciò che ci ha resi dissimili dal Salvatore, fino a quale dignità, fino a quale potenza saremo elevati nella santa gerarchia della Tua Parola! Ma ecco, Signore, che anche sugli spiriti rassegnati, venduti in schiavitù, hai posto la Tua mano di Grazia e Sollecitudine. L’Arabo, avvicinatosi al cavallo e coltivando in lui lo spirito di nobiltà e coraggio, gli è come un padre di liberazione; e il pastore, seduto nei campi col suo cane, eleva fino a sé e affranca lo spirito di umiltà e devozione. In questo mistero si cela tutta la storia di Giuseppe d’Egitto, che, più misero dei fratelli e condannato al servizio, accrebbe la sua potenza nella schiavitù e si erge a benefattore della propria famiglia. Vedo anche, o Signore, che alle virtù rare oggi negli uomini corrispondono, nei regni antichi della Creazione, forme altrettanto rare; e ciò mi è testimonio certo che siamo, per lo spirito, coloro che un tempo crearono quelle forme. Ecco, per stabilire la virtù dell’assiduità negli uomini, lo spirito ha lavorato nelle formiche, nelle api e in una quantità innumerevole di animali domestici, mentre lo spirito raro ed eroico della nobiltà e della forza ha avuto la rara forma del leone o il petto dell’aquila, innamorata delle tempeste e dei fulmini. E ora, o mio Dio, sento tutta questa natura, già acquisita allo spirito, che Ti chiama con la voce più perfetta, chiedendo di nuovo la sua forma definitiva – umana; poiché sa che con l’elevazione di un solo spirito è elevata l’intera Creazione fino ai suoi ultimi confini. Ecco, per l’atto dell’Invocazione suprema, per implorare Te, o Signore, gli alberi si sono adornati delle loro più belle parure di fiori e frutti, per mostrarti il merito e il lavoro dello spirito nelle forme più perfette. Ecco, le creature più fiere si sono riunite sul prato dell’Eden, dimentiche dei loro desideri, delle loro furie e dei loro istinti sanguinari, elevate in spirito dalla preghiera, innalzate dal sospiro dello spirito sopra la loro propria natura. Ecco, gli aquiloni si sono radunati attraverso i cieli con un corteo di ghirlande di cigni e gru, fermi nei cieli, circondati da cerchi di uccelli scintillanti, come la Tua corte angelica, come imitando l’entourage del Tuo trono adorato dagli angeli con ali d’arcobaleno. Questo fu sulla terra l’unico momento di pace e d’Eden; ed ecco, tra gli spiriti riuniti, hai chiamato a Te quello che era già degno dell’umanità, lo hai ascoltato, giudicato e gli hai permesso di prendere una nuova forma qui in basso; e nel suo corpo, come in un libro, hai iscritto tutti i misteri dell’antico lavoro preumano. Questo libro è depositato nel fondo di ogni spirito nell’umanità, vi dimora sempre; e se la stirpe, se l’intera Creazione perissero, o Signore, un solo uomo sopravvissuto troverebbe nella sua anima il lavoro del passato; e, eccetto le forme scomparse, l’eredità del globo non subirebbe alcuna perdita. Osanna dunque e gloria a Te, o Signore, poiché Tu sei il Creatore e al contempo il mio spirito ha il merito della sua propria creazione. Da queste altezze, dove tornerò ora? Al vecchio punto di vista della scienza? In quell’abisso, dove la mia vita d’ante culla mi era un mistero e l’avvenire non aveva alcuno scopo? Certo no, poiché uscendo dal passato mi sembra di aver posto il piede sulla roccia della Creazione. Vedo ciò che ho compiuto col lavoro e ciò che mi resta ancora da compiere. Ed ecco che già il mio spirito, lavorando con l’umanità, ha compiuto la maggior parte della sua fatica; già, elevandosi al di sopra degli istinti e delle virtù animali, si è accresciuto di molti prodotti dello spirito umano, di molte potenze già più che umane, già quasi angeliche. Questi lavori li narrerò in altri libri, o Signore, e ora permettimi, andando verso l’avvenire, di volgermi ancora una volta verso gli abissi dei sei giorni della Creazione e di prendere congedo dalla natura riposante e irrigidita. O mio spirito! Quando ancora nei selci facevi il sacrificio della forma e della durata, pensando di offrire la tua eternità... quando, dico, ti consacravi alla morte, il Signore accettò la tua offerta, ma ti ingannò come un padre che inganna il figlio prediletto. Infatti, con questo sacrificio, non solo sei giunto, nel corso dei secoli, a ottenere l’uomo e hai potuto esclamare come Eva: “Ho guadagnato un uomo al Signore”, ma il Signore ti ha donato in più ciò di cui non avevi mai sognato... Ti ha fatto dono dell’eternità delle forme rinascenti, la potenza di rigenerare una forma simile alla tua. Per effetto di questa grazia, l’uomo, senza perdere la sua immortalità né la minima parte del suo potere spirituale, riproduce una forma simile a sé, e questa diventa la dimora di uno spirito simile a lui. Non genera lo spirito, ma una forma simile destinata a uno spirito simile, già pronto a nascere, donando così allo spirito fratello l’accesso alla visibilità. In questa somiglianza risiede tutto il mistero della conservazione delle virtù generiche, che non si trasmettono, per così dire, col sangue da un corpo all’altro, ma derivano dalla legge per cui solo spiriti di natura simile possono dimorare in corpi simili. Acquisita attraverso la morte, questa immortalità delle forme dimostra che con il sacrificio lo spirito ottiene il dominio sulla morte, e, aggirando le leggi della materia inerte, le supera e le distrugge. Ecco, o mio Dio, un giorno fui colto da sgomento davanti alla grande potenza delle rovine nei campi antichi dell’Impero Romano; invano i miei occhi cercavano almeno una colonna che tracciasse sulle mie pupille le forme percepite un tempo dagli occhi di Cesare... ma le opere fatte dalla mano dell’uomo hanno mutato il loro volto... i monumenti eretti per durare nei secoli si sono sgretolati... le gocce di rugiada hanno corroso gli occhi delle statue di marmo. Incerto se vedessi una delle forme viste secoli fa, ecco che ho scorto un passero: sceso su una strada sabbiosa, si posò tra i sarcofagi in rovina... E il mio spirito fu subito certo che lo stesso disegno delle piume, una gorgeretta nera del tutto simile, erano stati visti dalle legioni di Varo... E, in verità, i mari sono arretrati da allora e Roma è sprofondata sotto venti piedi di polvere. Spirito! Lavoratore che precedesti i secoli! Tu sai che in te giace il principio della luce che eternizza la materia, il santo oppositore del fuoco, il tuo futuro trasformatore nei giorni ultimi. Questo principio di redenzione, che nell’avvenire dorerà meravigliosamente i volti della forma, si manifestò solo come un’ombra nelle profondità degli elementi: rivestì di vaghe luci arcobaleno alcune piantine marine, fece di certi farfalle stelle di Psiche, e poi si spense, scambiato da spiriti miseri per qualche proprietà di maggiore utilità. Già non lo si vede più negli uccelli; già le gru, guidando attraverso la notte, nei loro viaggi lamentosi e malinconici, le ghirlande di uccelli migratori, non si trasformano più in fiaccole né lanciano nastri o arcobaleni fiammeggianti ai naviganti smarriti nella nebbia. E questa luce dorata, o Signore, superiore alla voce e più adatta a tradurre le estasi divine, si rivela a noi nell’avvenire come il più perfetto strumento del canto sacro e il nostro nutriente celeste, in quella capitale che ci giunge dalle nubi. Da tali lavori secolari, o mio spirito, da tali vittorie sul disordine e la tempesta, è fatta la tua prima corona e il tuo primo merito davanti a Dio. Il Signore non ha dimenticato le tue opere, al contrario, le ha rispettate, conservando le forme da te create, non permettendo più di apportarvi alcuna modifica. Al libro scritto da te, ha apposto il sigillo della sua durata; e quando ne sei degno e desideri la vera comprensione della natura, apre davanti a te le pagine dorate di questo libro della Genesi, scritte da te con caratteri diversi, affinché tu le legga, le approfondisca e le confronti con quell’altro libro misterioso depositato nel fondo del tuo spirito. Ti rallegri, o spirito, ogni volta che scopri uno dei veri misteri della via dolorosa, e la tua coscienza ti testimonia che hai decifrato il vero pensiero di Dio racchiuso nelle forme. Tuttavia, la scienza del passato non è nulla se non ti svela l’intero futuro. Ecco, in questi libri è rivelato il mistero della morte, e chiaramente è scritta la legge della successiva creatività, ossia: il sacrificio. Non distaccarti dunque dalla tua origine, Angelo reso visibile, e abbi fede nella giustizia del Vero contro l’abitudine viziosa della scienza. Nella tua santità risiede la liberazione dello spirito e il suo futuro potere, la saggezza, la forma di ogni azione futura, la vittoria, la libertà e la liberazione dal giogo della falsità e della potenza. O Signore, che hai ordinato al fragore del mare e al sussurro dei campi ventosi coperti di pallidi fiorellini di insegnarmi le parole di questo libro e di risvegliare la scienza assopita nel fondo del mio spirito, fa’ che queste parole, scritte con un sospiro, passino come il vento e il fragore del mare; e che, passando e svanendo, conducano dalla loro inconsapevolezza alla luce della loro propria conoscenza alcune grandi potenze spirituali addormentate nella mia patria. Affinché da quest’Alfa, dal Cristo e dalla Tua Parola sia dedotto il mondo intero, e la saggezza serena, creata dall’amore di Dio negli spiriti, si dispieghi in una chiarezza raggiante, illuminando ogni scienza. Questo ti chiedo, o mio Dio e Signore! Ti chiedo la fede chiaroveggente e il sentimento dell’immortalità nato dalla fede negli spiriti. Ti chiedo il sole della saggezza divina, in cui già vedo l’angelo con la spada del prossimo sacrificio. Poiché “tutto è creato dallo Spirito e per lo Spirito, e nulla esiste per una fine materiale”; ed è su queste parole che sarà fondata la futura scienza santa del mio Popolo, e nell’unità della scienza nascerà l’unità del sentimento, nonché la visione dei sacrifici che conducono, attraverso lo spirito della patria sacra, ai fini ultimi. Dio mio Padre, che, secondo la testimonianza di Cristo, Nostro Signore, non sei ancora stato visto da nessuno quaggiù, ma che, attraverso la folla sanguinante e tormentata delle forme della Genesi, hai avuto per me un volto, oscurato rispetto alla forma, ma clemente e giusto verso gli Spiriti e il mio Spirito, e quindi più chiaro e come più vicino: fa’ che questa unica via di chiarimenti e illuminazioni, la via dell’amore e della comprensione, accresca sempre il suo splendore per il raggiare della Scienza, e dia al mio Popolo, che segue la sua via dolorosa, la dignità del Tuo popolo eletto e lo conduca verso il Regno di Dio.
Traduzione informatica (GROK)
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